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Solo 17% fumatori italiani ha informazioni su prodotti senza fumo

Studio Philip Morris: mancanza informazione ostacola prodotti alternativi

La mancanza di informazione ostacoli prodotti alternativi al fumo: solo il 17% dei fumatori italiani dichiara di avere informazioni adeguate sui prodotti senza fumo. E’ quanto emerge da un rapporto rilasciato oggi da Philip Morris International (PMI) dal titolo “Unsmoke: Clearing the Way for Change” basato sui risultati di uno studio internazionale condotto per l’azienda da Povaddo, istituto di ricerca indipendente. Se le scelte migliori restano sempre non iniziare o smettere del tutto di fumare sigarette e utilizzare qualsiasi altro prodotto a base di nicotina, la realtà è che molte persone non lo fanno. Il sondaggio, condotto in 13 paesi tra gli adulti di età compresa tra 21 e 74 anni, esplora due temi chiave: la mancanza di informazioni disponibili su prodotti senza fumo e l’impatto del fumo sulle relazioni personali. Lo studio rivela alcune delle barriere che impediscono ai fumatori di considerare alternative senza fumo rispetto al fumo tradizionale. “Attualmente vi è molta disinformazione sui prodotti senza fumo e questo crea confusione. È uno dei maggiori ostacoli che è necessario affrontare per costruire un mondo senza fumo.” ha dichiarato Jacek Olczak, chief operating officer di PMI. “La realtà è che sono disponibili valide alternative per i fumatori adulti che non smettono di fumare. C’è un bisogno urgente di un dibattito globale – basato su ricerche e fatti scientifici – su queste alternative.” Per quanto riguarda il pubblico italiano, il rapporto fotografa innanzitutto il desiderio di un maggiore impegno per rendere le sigarette un ricordo del passato – un obiettivo condiviso da quasi nove intervistati su dieci che affermano che il Governo dovrebbe investire tempo e risorse nel cercare di ridurre l’incidenza del fumo. Tuttavia, l’88% degli italiani sono convinti che regolazione e tassazione non saranno in grado, da sole, di risolvere il problema. Se l’87% degli intervistati (più di quattro su cinque) concorda sulla necessità di maggiori e più trasparenti informazioni sui prodotti senza fumo, solo il 17% dei fumatori si ritiene “decisamente d’accordo” sull’avere tutte le informazioni necessarie. La domanda di informazione è forte: il 96% del pubblico italiano conosce la sigaretta elettronica, ma tre quarti dei fumatori (75%) affermano che prenderebbero più facilmente in considerazione il passaggio ad alternative tecnologiche – sigarette elettroniche o prodotti a tabacco riscaldato – se fosse più chiaro in che modo tali prodotti differiscono dalle sigarette. Centrale per una corretta informazione ai fumatori è anche la collaborazione tra aziende, istituzioni e mondo scientifico, ritenuta indispensabile dal 77% degli intervistati. Lo studio esplora anche l’attitudine verso il fumo di fumatori e non fumatori, e il ruolo che il fumo svolge in ambito personale e sociale. Ad esempio, l’87% dei non fumatori italiani ha avuto divergenze con il proprio partner a causa del vizio del fumo di quest’ultimo, mentre quasi 9 non fumatori su 10 sono infastiditi dal fumo durante i pasti. Sempre secondo lo studio, abbandonare l’utilizzo di sigarette e prodotti contenenti nicotina rimane la scelta migliore, ma rispetto al continuare a fumare, l’utilizzo di alternative senza fumo potrebbe migliorare la qualità delle relazioni personali. Infatti, gli ex-fumatori che sono passati definitivamente a prodotti senza fumo concordano sul fatto che tali prodotti hanno avuto un impatto positivo sulla loro vita: i pasti hanno un sapore migliore (84%), la loro vita sociale è migliorata (57%), e le loro relazioni con la famiglia e gli amici sono migliori (51%). “Stiamo creando un movimento – #unsmoke – per contribuire a creare un mondo senza fumo”, ha dichiarato Marian Salzman, senior vice president global communications di PMI. #Unsmokeyourworld è un’iniziativa di PMI per promuovere un cambiamento nell’approccio delle politiche sul fumo. Il movimento #unsmoke ha l’obiettivo di riunire una comunità di persone in grado di accelerare questo cambiamento rafforzando il messaggio secondo cui non iniziare o smettere completamente di fumare sigarette e utilizzare qualsiasi prodotto a base nicotina sono la scelta migliore, diventando altresì ambasciatori del messaggio che, per i fumatori che altrimenti continuerebbero a fumare, ci sono valide alternative tra cui tra cui oggi è possibile scegliere.


Fonte: askanews.it

A Lipids in Rome gli esperti fanno il punto

In Italia ogni anno 230.000 persone muoiono a causa di malattie cardiovascolari, e circa 47.000 decessi sono attribuibili al mancato controllo del colesterolo. Una condizione che non riguarda esclusivamente la fascia di età più elevata poiché le stime epidemiologiche mostrano che la malattia si manifesta nel 73% nel sesso maschile e nel 43% di quello femminile già in età giovanile e nella mezza età. Il colesterolo rappresenta infatti uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il Sistema Sanitario Nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. Ciò nonostante secondo le più recenti Linee Guida internazionali, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato. Il controllo del colesterolo, causa di sviluppo e crescita delle placche, è uno dei principali obiettivi della terapia mirata alla prevenzione cardiovascolare. Lipids in Rome, evento organizzato dall’ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, nella sua seconda edizione riunisce a Roma esperti provenienti da tutta Italia per discutere, condividere, e confrontarsi sulle principali novità in merito a quella che è una vecchia sfida per la quale sono però disponibili nuove soluzioni. L’evento Nazionale si svolgerà il 22 e 23 Marzo presso il Centro Congressi Auditorium Aurelia in collaborazione con la Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi e con il patrocinio della più importante società scientifica cardiologica statunitense, l’American College of Cardiology. Fabrizio Oliva – Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano – dichiara: “Nel corso dell’incontro l’attenzione verrà focalizzata sulla necessità di un trattamento precoce soprattutto dopo eventi acuti come l’infarto del miocardio. La comunità scientifica internazionale è infatti unanimemente concorde sul beneficio che può apportare l’impiego di farmaci ad alta efficacia somministrati quanto prima possibile in modo da evitare che i pazienti siano esposti ai rischi dovuti a livelli di colesterolo elevato. Negli ultimi anni grazie a studi osservazionali su larga scala che hanno incluso centinaia di migliaia di persone è stato dimostrato che quanto più a lungo gli individui sono esposti a livelli elevati di colesterolo tanto maggiore è il rischio di sviluppo e crescita delle placche aterosclerotiche con conseguente rischio di manifestazioni acute quali l’infarto. Per tale motivo le più recenti raccomandazioni formulate dagli esperti di tutto il mondo indicano l’importanza di utilizzare, dopo un evento acuto, non solo farmaci ad alta efficacia ma fin da subito una combinazione farmaci, se necessario includendo farmaci più innovativi come l’acido bempedoico o gli inibitori di PCSK9, cosi’ da aumentare la probabilità di successo della terapia e anche l’aderenza al trattamento ovvero il prosieguo nel tempo della terapia prescritta. Allo stesso modo quando gli elevati livelli di colesterolo sono conseguenza di malattie genetiche, e quindi presenti fin dalla più giovane età, per evitare i danni correlati alla persistente esposizione al colesterolo per numerosi anni, ovvero evitare lo sviluppo e la crescita delle placche, è necessario mettere in pratica un approccio simile, cioè, utilizzare subito farmaci potenti ed in combinazione cosi’ da favorire il mantenimento della terapia nel lungo tempo”. Furio Colivicchi – Past President ANMCO e Direttore Cardiologia Clinica e Riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma – sottolinea: “I due giorni di lavori sono l’occasione per discutere anche delle crescenti evidenze sulle novità all’orizzonte in termini di possibilità di ridurre il rischio cardiovascolare attraverso farmaci, come le piccole molecole di RNA (siRNA) o gli oligonucleotidi antisenso (OSA), in grado di modulare l’espressione di proteine che giocano un ruolo nel metabolismo dei grassi circolanti, con molecole che agiscono in maniera selettiva a livello del fegato. Questo tipo di trattamento ha il vantaggio di avere una lunga durata d’azione, quindi non richiedere una somministrazione quotidiana del farmaco e garantire in tal modo una maggiore aderenza alla terapia. Da circa un anno è a disposizione l’inclisiran, un farmaco che permette di ridurre il colesterolo cattivo in circolo attraverso iniezioni sottocutanee praticate due volte l’anno. Questo grazie al suo meccanismo d’azione del tutto innovativo ovvero riducendo l’espressione di una proteina che interferisce con la captazione del colesterolo plasmatico da parte delle cellule del fegato. La ricerca scientifica, sfruttando un meccanismo d’azione simile, ovvero di modulazione dell’espressione di proteine, sta sviluppando nuovi farmaci rivolti verso altri fattori che aumentano il rischio cardiovascolare e che possono essere responsabili di eventi acuti proprio come il classico colesterolo cattivo. Uno degli obiettivi dei farmaci in via di sviluppo è ad esempio la lipoproteina(a) che, quando è elevata, anche se si interviene efficacemente sul colesterolo cattivo in circolo, può favorire eventi acuti e potenzialmente invalidanti come l’infarto e l’ictus, ma anche la malattia di valvole cardiache come la stenosi valvolare aortica calcifica”. “Globalmente anche l’edizione 20224 di Lipids in Rome 2024 – conclude Colivicchi – sarà un’eccellente opportunità di aggiornamento in campo di gestione delle malattie cardiovascolari associate agli elevati livelli di colesterolo e altri lipidi nel circolo sanguigno, con uno sguardo alle promettenti ed innovative opzioni terapeutiche attese per il prossimo futuro”.


Fonte: askanews.it

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Oggi si combatte con l’ortobiologia. E senza bisturi.

Combattere l’artrosi si può, anche senza bisturi: dopo i trattamenti infiltrativi con farmaci antinfiammatori e quelli a base di acido ialuronico, oggi la ricerca si concentra su infiltrazioni con i derivati del sangue, i cosiddetti PRP (Plasma Ricco di Piastrine), fino ad arrivare ai trattamenti con le cellule mesenchimali estratte dal midollo osseo o dal grasso sottocutaneo. Parliamo di ortobiologia, metodiche che sfruttano le capacità rigenerative delle cellule del corpo umano con l’obiettivo di stimolare la ricrescita di alcuni tessuti e di attenuare l’infiammazione, trattamenti non chirurgici e mini invasivi che accendono nuove speranze per coloro che fino a qualche anno fa avevano come unica scelta terapeutica l’intervento di sostituzione protesica. Queste tecniche di medicina riparativa e rigenerativa sono applicabili al trattamento conservativo delle articolazioni, ma anche alla fase post-intervento chirurgico, per migliorarne l’esito, favorendo la guarigione dei tessuti.

L’artrosi è una malattia articolare cronico-degenerativa a carattere progressivo che colpisce in Italia circa 4 milioni di persone: “Per il trattamento dell’artrosi, patologia degenerativa che aumenta con l’età – spiega Alberto Momoli, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, SIOT e Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza – si sono aperte nuove strade per cure più conservative e, grazie alle tecniche di ortobiologia, siamo entrati in una nuova era in ambito ortopedico. Questo tipo di procedure riguarda però le fasi iniziali dell’artrosi, i gradi 2 e 3. Mentre se l’artrosi è di quarto grado non ci sono alternative all’intervento chirurgico. E’ fondamentale l’intervento precoce”.

Evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia delle infiltrazioni con l’acido ialuronico e con il PRP, e la letteratura più recente anche quelle con le cellule mesenchimali, in particolare nell’articolazione del ginocchio. Fra i trattamenti infiltrativi in prima linea per il trattamento conservativo dell’artrosi di ginocchio c’è l’acido ialuronico che viene iniettato nell’articolazione allo scopo di lubrificarla e nutrire la cartilagine rimanente, una pratica clinica ormai diffusa che mostra benefici anche nell’artrosi dell’anca. Nel caso dell’articolazione del ginocchio, quando la risposta a questa terapia non fosse sufficiente, è possibile ricorrere alle infiltrazioni con i derivati del sangue, PRP. In questo caso, dal sangue del soggetto, opportunamente centrifugato, viene estratto il plasma ricco di piastrine che, iniettato, favorisce il rilascio di fattori di crescita piastrinica, cioè di molecole che consentono ai tessuti di ripararsi e rigenerarsi. Il PRP trova ampia applicazione anche nella rigenerazione dei tendini della spalla. Un’ulteriore possibilità, ancora in fase sperimentale, è offerta dalle cellule staminali mesenchimali estratte dal tessuto adiposo addominale e poi infiltrate nell’articolazione artrosica. “Si tratta di una procedura più complessa rispetto a quella prevista dalla cura con il PRP – precisa Momoli – ma si svolge anch’essa in regime ambulatoriale. In entrambi i casi è importante rivolgersi a centri certificati e con elevati standard qualitativi. Quando usato su persone con artrosi, il trattamento a base di cellule mesenchimali, utile anche in caso di tendiniti, è molto efficace sul ginocchio e un po’ meno sull’anca. Bisogna, comunque tener presente che tale cura è in grado solo di rallentare il processo artrosico, ma non di farlo regredire”.


Fonte: askanews.it

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“Dieta mima digiuno” abbinata a una terapia farmacologica mirata

Ci potrebbero essere nuove opzioni di trattamento per la leucemia linfatica cronica (LLC), abbinando la cosiddetta “dieta mima digiuno” a terapie mirate. Risultati promettenti in questo senso vengono da un gruppo di ricercatori dell’IFOM di Milano, guidato dal Professor Valter Longo, con la collaborazione del gruppo di ricerca del Dottor Claudio Vernieri, di IFOM e dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, presso il Dipartimento di Oncologia diretto dal Professor Filippo de Braud. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC sono stati pubblicati sulla rivista “Cancer Research”. La leucemia linfatica cronica (LLC) è il tipo di leucemia più diffuso di leucemia nei Paesi occidentali (15-20% di tutti i casi di leucemia) e ha un’incidenza di 1-2 casi all’anno ogni 100.000 individui. “È una malattia complessa – premette Longo – con forme indolenti e aggressive che richiedono approcci terapeutici distinti”. I pazienti che manifestano una forma indolente mostrano una progressione lenta, mentre quelli che affrontano una variante aggressiva hanno un accumulo rapido di linfociti leucemici nel midollo osseo e nei tessuti linfoidi. L’accumulo sostituisce progressivamente le normali cellule ematopoietiche, portando infine a una citopenia ematica, ossia a una carenza di tutti gli altri tipi di cellule e componenti essenziali del sangue, tra cui un’estrema riduzione dei livelli di piastrine e dell’emoglobina, con effetti potenzialmente letali.

Mentre la forma aggressiva dev’essere trattata immediatamente, per la LLC indolente i medici spesso seguono una strategia di watch and wait (in italiano, letteralmente, “osservare e attendere”). Tale approccio consente di monitorare l’evoluzione clinica dei pazienti e di iniziare trattamenti farmacologici solo in caso di segni di peggioramento.

Esistono diverse opzioni terapeutiche per il trattamento della LLC, che vanno dalla chemioterapia all’immunoterapia a diverse terapie mirate. Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi dieci anni, la ricerca di nuovi approcci di cura sostenibili ed efficaci rimane imperativa, soprattutto per un sottogruppo di pazienti che presenta forme particolarmente aggressive di LLC, caratterizzate da alterazioni del gene p53. In questo contesto alcuni farmaci sperimentali, come per esempio il bortezomib, stanno emergendo come promettenti.

Già in passato i ricercatori del laboratorio “Longevità & Cancro”, guidato da Valter Longo all’IFOM, avevano dimostrato che la dieta mima digiuno rende chemioterapia, immunoterapia e altri trattamenti più efficaci contro vari tipi di tumori solidi. “In questo nuovo studio” – spiega Longo – “ci siamo invece focalizzati sulla ricerca di una terapia che fosse meno tossica per il trattamento di un tumore del sangue”.

Prosegue Longo: “Grazie al lavoro condotto da Franca Raucci e Claudio Vernieri – i due primi autori dell’articolo – abbiamo osservato, in esperimenti con topi affetti da leucemia, che la dieta mima digiuno può neutralizzare in parte i linfociti tumorali. Ciò sembra avvenire in parte grazie alla riduzione dei livelli di fattori di crescita, che di per sé pare rallentare la progressione tumorale”. “In questo studio – precisa Vernieri – sono anche stati esaminati gli effetti di otto cicli consecutivi di dieta mima digiuno in due pazienti affetti da LLC. Abbiamo osservato che, dopo 5-6 anni di approccio watch and wait, per nessuno dei due è stato necessario iniziare un trattamento farmacologico. Si tratta di un risultato preliminare ma promettente”.

 

Fonte: askanews.it

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